Dalle acque reflue una produzione di idrogeno verde più economica e sostenibile

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01Idrogeno verde: quali sono le criticità di distribuzione e produzione 02Le soluzioni suggerite per una produzione più economica e distribuita

Un nuovo fronte si sta aprendo nello scenario delle energie rinnovabili: la produzione di idrogeno verde potrebbe diventare molto più economica grazie all’utilizzo di fonti idriche non tradizionali per alimentare il processo.

Quali? L’acqua del mare, le acque reflue municipali e industriali e le acque di estrazione mineraria.

Un’importante svolta verso un utilizzo più diffuso ed economico dell’idrogeno verde viene spiegato in un articolo pubblicato su Environmental Science & Technology. Cerchiamo di capire quali sono i punti di forza del nuovo procedimento individuati nella ricerca del team di ingegneri dell’Università di Yale.

01Idrogeno verde: quali sono le criticità di distribuzione e produzione

Quello che fino ad oggi ha limitato l’ampio utilizzo dell’idrogeno verde nella sfida alla decarbonizzazione è la complessità determinata sia dal trasporto che dalla distribuzione dell’H2.

Infatti, lo studio spiega che piccole molecole di gas H2 fuoriescono facilmente dai tubi e dai contenitori di stoccaggio, e la liquefazione per facilitare lo stoccaggio e il trasporto comporta un notevole consumo di energia. Inoltre, l’H2 viene generalmente trasportato da autotreni con rimorchi tubolari alimentati a diesel, che producono grande quantità di emissioni di CO2 per garantire l’utilizzo dell’idrogeno.

Anche la mancanza di una solida rete di stazioni di rifornimento distribuite e i rischi di esplosione associati allo stoccaggio di grandi volumi di idrogeno rappresentano colli di bottiglia cruciali nella diffusione del vettore energetico.

Oltre ai problemi relativi al trasporto, ci sono sfide anche nella fase della produzione di Hverde, che richiede acqua ad alta purezza per alimentare l’elettrolizzatore.

02Le soluzioni suggerite per una produzione più economica e distribuita

Ora cerchiamo di capire perché l’utilizzo di fonti idriche non tradizionali potrebbe consentire all’elettrolisi dell’acqua distribuita di ridurre i costi e le emissioni di CO2 associati al trasporto dell’idrogeno. Lo studio parte da un dato preciso, cioè il costo relativamente insignificante del trattamento delle acque.

A questo consegue che l’abbinamento tra desalinizzazione (o purificazione delle acque) ed elettrolisi dell’acqua desalinizzata e divenuta ad alta purezza è più vantaggioso rispetto all’elettrolisi diretta dell’acqua di mare, visto che quest’ultima risulta tecnicamente ed economicamente impegnativa.

Fino ad oggi, invece, si è intrapresa la direzione opposta: la produzione di Hsu larga scala ha dato la priorità all’elettrolisi diretta dell’acqua di mare, per sfruttare l’inesauribile fornitura di acqua dall’oceano ritenuta in grado di soddisfare il futuro fabbisogno di idrogeno verde. E non si sono prese in considerazione le risorse di acqua dolce che, invece, in base al nuovo studio, risultano molto più vantaggiose. Questi dati implicano che anche i costi del trattamento di purificazione delle altre tipologie di acqua, tra le quali quelle reflue, sono trascurabili.

Questo determina numerosi vantaggi: se infatti non è più vantaggioso realizzare impianti di grande scala vicino al mare è possibile procedere con l’elettrolisi dell’acqua decentralizzata per ridurre al minimo i colli di bottiglia nel trasporto di H2.

È evidente che un’infrastruttura distribuita appare particolarmente favorevole nei luoghi in cui l’acqua potabile risulta più scarsa, poiché l’utilizzo di acque reflue o da lavorazioni industriali eviterebbe di attingere a fonti di acqua potabile. E creare idrogeno verde in una serie di siti più piccoli invece che in un hub centrale significherebbe poter ridurre i trasporti, uno dei maggiori costi nella distribuzione del vettore.

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