Gioachino Gobbi, i segreti di un territorio raccontati in un libro dedicato a Courmayeur e al Monte Bianco

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Ci sono diversi modi di affrontare la conoscenza delle cose, delle persone o di un territorio: il più semplice e comune, è quello di limitarsi ad osservarli per prendere atto delle loro caratteristiche; poi, c’è la seconda via, molto più complessa, che richiede di indagare sulla loro natura, di ripercorrerne la storia per comprenderne l’evoluzione e poter così cogliere il senso profondo di quello che sono oggi, andando oltre la pura forma e apparenza.

È quest’ultimo approccio quello con cui Gioachino Gobbi descrive la “sua” nativa Courmayeur nel libro Croméyeuï Mon Blanc (iMontBlanc Edizioni): un’opera che sancisce la forza del legame con il territorio raccontato a 360° attraverso storie, leggende e aneddoti legati al monte Bianco e a Courmayeur.

Nei 30 capitoli che compongono il volume si delineano altrettanti “quadri” del paese, ognuno dedicato a un aspetto particolare del territorio e “tratteggiato” attraverso storie inedite e poco note: tutti insieme rappresentano i pezzi di un puzzle che fornisce una visione d’insieme, un quadro perfetto di quello che c’è dietro la bellezza di una delle località di montagna più famose d’Italia. È proprio questa filosofia di conoscenza e rispetto del territorio ad essere sostenuta da CVA Energie, patrocinatore ufficiale del progetto letterario.

Nel suo libro Croméyeuï Mon Blanc, racconta di circostanze e avvenimenti importanti per Courmayeur, ma che oggi non esistono più. Com’è cambiato il paese, quali sono le maggiori differenze rispetto al passato? Che cosa le manca di più?

Ho avuto il grande privilegio di vivere lo straordinario periodo in cui un piccolo paese, perso al fondo di una valle chiusa da una enorme catena di montagne, si è trasformato in una delle mete più ricercate dal grande turismo internazionale.

La realtà è stata più grande di una evoluzione, quasi una serie di “salti quantici” indotti dal traforo del Monte Bianco che ci ha aperto all’Europa, all’autostrada che ci ha avvicinato alle grandi città, al “miracolo economico” che ha reso lo sport e la vacanza possibili per una grande quantità di cittadini, e Courmayeur era al posto giusto nel momento giusto.

Attraverso quali sentimenti si sviluppa il suo legame con il territorio, le montagne e con le vallate? Quali i sentimenti e gli obiettivi che hanno ispirato la scrittura?

A Courmayeur sono nato (in casa mia), qui ho sempre mantenuto la mia residenza anche durante la mia vita di giramondo, e qui intenderei, assolutamente senza fretta, terminare il mio viaggio terreno.

Il libro contiene trenta “quadri” che illustrano trenta diverse angolature, e poiché non sono uno storico non li ho messi in sequenza temporale, in modo che ognuno possa liberamente scegliere il proprio ordine costruendo così la sua personale visione di Courmayeur. Avrei potuto sceglierne un numero maggiore o privilegiarne altri, ma mi sono comportato come un nonno (quale sono) che cerca di tramandare ai nipoti le realtà passate, raccontandole in maniera lieve e possibilmente divertente.

Il libro approfondisce racconti e storie profondamente legate al territorio. Qual è l’aspetto distintivo della montagna e quale la lezione più importante che insegna?

La cultura di montagna esiste ed è diversa da quella delle pianure e delle città, raccontare questo e farlo sopravvivere è l’obiettivo principale del lavoro, con due destinatari: i giovani di Courmayeur che devono sapere e capire da dove vengono le cose che li circondano e quale evoluzione le ha portate ad essere come sono, e gli ospiti di Courmayeur che non possono vedere cose che non esistono più.

La lezione è molto semplice: la montagna è.  Non è amica e non è nemica, non è “assassina “e non è amante, non è buona e non è cattiva. Semplicemente è. Il Monte Bianco è lì da circa 300 milioni di anni e non possiamo essere certi che si sia accorto della presenza dell’uomo che è arrivato poche decine di miglia di anni fa. Per Courmayeur è certamente una grande, grandissima fortuna, ma fra altrettanti anni il paese e la vetta non esisteranno più: la gravità obbliga tutto ciò che è in alto a scendere in basso.

Oltre ad essere un luogo fisico, spesso sfidante, la montagna può essere considerata una metafora della vita: a riguardo, qual è il messaggio sotteso delle leggende legate al Monte Bianco?

La vita in montagna è sempre stata severa e maestra di attenzione ed essenzialità. La stessa salita verso una cima è metafora di elevazione materiale e spirituale: gli dei sono sempre stati immaginati sulle montagne in tutte le culture.I racconti e le leggende della montagna hanno sempre avuto uno scopo di insegnamento dei comportamenti da avere in ambienti sempre difficili e spesso ostili.

Insegnano a capire i segni del tempo atmosferico, delle stagioni, del comportamento degli animali, dello sviluppo delle piante, delle conseguenze del freddo, del rischio di frane e valanghe. Sono il libro non scritto di una cultura orale.

Tra gli aneddoti del passato che riporta nel libro, qual è quello che trova più significativo per valorizzare il legame con il territorio anche nel presente?

Non so se si possa classificare come “aneddoto” o come paradosso, ma la realtà è che la maggior parte di ciò che il visitatore vede oggi a Courmayeur non è frutto della cultura e della tradizione montanara. L’idea delle acque miracolose e curative, le terme, risalì dalla pianura; la fantasia di rischiare la vita salendo sulle vette, l’alpinismo, fu un’invenzione cittadina; e l’amore per la neve, lo sci, era veramente lontano dalla mentalità del montanaro.

Ma furono occasioni di lavoro e di ricchezza, e poiché la vita era dura, un po’ di miglioramento era già una grande ricchezza. Certo i montanari hanno saputo adeguarsi in fretta.

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