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Emergenza ambientale: cos’è e come contrastare il dissesto idrogeologico in Italia

6 minuti
01I numeri del dissesto idrogeologico in Italia 02Le regioni a maggiore rischio idrogeologico 03Le soluzioni proposte dall’Europa e dall’Italia 04Il ruolo dei boschi nel contrasto al dissesto idrogeologico

Non c’è pace per il territorio italiano, sempre al centro di eventi estremi che aumentano il rischio di frane e alluvioni. L’emergenza climatica aggrava il problema del dissesto idrogeologico, inteso come l’insieme di processi morfologici di alterazione del suolo a partire dell’erosione superficiale fino alle frane e alle piene fluviali e torrentizie, come le alluvioni.

Sono soprattutto le attività antropiche ad aggravare gli effetti del dissesto idrogeologico: a partire dalla cementificazione del territorio che comporta l’impermeabilizzazione del suolo che non riesce più ad assorbire in modo sufficiente le piogge, passando per l’espansione di superfici artificiali che non viene bilanciato da altrettante superfici naturali o da opere per lo smaltimento delle acque, proseguendo per la deforestazione che impedisce di creare una barriera naturale a smottamenti del terreno e alle frane, per concludere con la piaga dell’abusivismo edilizio in aree non idonee allo sviluppo urbanistico, con abitazioni realizzate su aree potenzialmente franose oppure in aree interessate da processi torrentizi.

01I numeri del dissesto idrogeologico in Italia

Sono dati allarmanti quelli che si leggono nell’ultima edizione del rapporto Ispra, Istituto Superiore per la Protezione Ambientale, intitolato “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”: il 94% dei comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera e sono circa 8 milioni i cittadini che abitano in zone pericolose.

Si registra un peggioramento rispetto ai numeri della precedente edizione con un incremento del 4% per quanto riguarda le frane e del 19% per le alluvioni. L’unico aspetto in via di miglioramento è quello che riguarda le coste, grazie a una serie di interventi capillari volti alla loro protezione effettuati negli ultimi anni. Si tratta di opere di difesa rigide che hanno aumentato il numero dei litorali definiti stabili e in avanzamento, diminuendo dell’1% quelli in erosione.

Anche le dighe, nella loro struttura e funzionalità, possono rispondere all’obiettivo di difendere e tutelare il territorio: raccogliendo acqua ai fini della produzione di energia idroelettrica, svolgono anche l’importante funzione laminatrice (vale a dire di contenimento) di eventuali piene e garantiscono un grado di maggiore sicurezza. A dimostrarlo sono le sei dighe di CVA presenti nel territorio valdostano: da oltre cinquant’anni, accanto alla pura finalità di produzione idroelettrica, hanno garantito le funzioni di laminazione e di sicurezza dei territori a valle e negli eventi alluvionali hanno svolto un’importante ruolo di contenimento trattenendo le portate in arrivo.

02Le regioni a maggiore rischio idrogeologico

I dati più allarmanti si registrano in Emilia-Romagna (quasi 3 milioni di abitanti a rischio), Toscana (più di 1 milione), Campania (oltre 580 mila), Veneto (quasi 575 mila), Lombardia (oltre 475 mila) e Liguria (oltre 366 mila).

Nello specifico, gli edifici che si trovano in zone a forte rischio di frane sono 565 mila, il 3,9% su un totale di più di 14 milioni, e 1,5 milioni (il 10,7%) quelle a rischio medio di inondazioni. Anche il numero delle industrie ubicate in zone ad alto rischio frane è allarmante: si calcola siano circa 84.000.

A confermare la gravità della situazione del territorio italiano, è anche l’edizione 2022 del rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, a cura del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).

Secondo lo studio, nel 2021 si è registrato il valore più alto degli ultimi dieci anni di consumo del suolo, che ha sfiorato i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno, con una media di 19 ettari al giorno e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo.

Un altro dato allarmante rappresenta l’Italia ricoperta dal cemento per 21.500 km2: è come se un territorio grande quanto la Liguria fosse occupato da soli edifici.

Questo significa che tra il 2006 e il 2021 l’Italia ha perso 1.153 km2 di suolo, con una media di 77 km2 all’anno soprattutto a causa dell’espansione urbana. Una trasformazione del territorio che rendendo il suolo impermeabile provoca, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, anche la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno.

03Le soluzioni proposte dall’Europa e dall’Italia

La Commissione Europea ha dedicato una specifica Strategia per il suolo con l’obiettivo di garantirne la tutela arrestandone l’attuale degrado. Secondo la Commissione, politiche efficaci di tutela e di ripristino delle funzioni ecosistemiche del suolo potrebbero generare fino a 1.200 miliardi di euro di benefici economici a livello mondiale ogni anno.

Un dato che fa ancora più riflettere se si pensa che il non fare e il non agire comporta un danno economico in Europa che supera di almeno sei volte il costo dell’azione, a cui si aggiunge una perdita di aree fertili a discapito della sicurezza alimentare e con un forte impatto sull’ambiente e sulla qualità della vita.

Sul fronte interno, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ha previsto l’emanazione di una legge nazionale sul consumo del suolo in conformità agli obiettivi europei: questo significa una previsione normativa che affermi definitivamente i principi fondamentali del riuso, della rigenerazione urbana e della limitazione del consumo del suolo, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola.

04Il ruolo dei boschi nel contrasto al dissesto idrogeologico

Sotto accusa anche la mancata gestione delle montagne e dei boschi. Tra le voci che più rivendicano l’importanza di concentrarsi su una sistematica e pianificata gestione delle foreste come attività primaria di prevenzione per combattere il dissesto idrogeologico è la FIPER, la Federazione di Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili.

Gli investimenti nella politica forestale risultano urgenti perché coltivare e curare i boschi significa mantenerli più forti e capaci di resistere agli attacchi patogeni e parassitari, rendendoli più solidi nel far fronte agli eventi meteorologici estremi senza crollare e far franare il terreno.

Un problema avvertito soprattutto nelle zone montuose: i dati raccolti da Uncem, Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani, nel dossier sul dissesto idrogeologico mostrano che l’84,5% dei comuni montani è a rischio frane e il 65,1% è a rischio alluvioni.

Un panorama preoccupante che non permette più di rimandare interventi fondamentali per garantire la messa in sicurezza di tutto il territorio italiano.

 

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